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LA POTENZA DELLA CONDIVISIONE EMOTIVA NELLA FORMAZIONE

Nella cornice del Castello Normanno di Mesagne (Brindisi) ho condotto una giornata formativa per assistenti sociali e professionisti dell’area della tutela dei minori a partire dalla presentazione del libro “Lettere dal trauma. Dal dolore alla speranza. Curare le ferite dei sopravvissuti”. Grazie all’impegno culturale strenuo sul territorio di Roberto Schifone, che è anche vicepresidente del Movimento per l’infanzia presieduto da Andrea Coffari.

All’inizio Ilaria Mottola, la coordinatrice della cooperativa “Il sostegno” ha posto un interrogativo: cosa fare per le madri che vengono inserite in comunità per proteggerle da una situazione di sofferenza e di minaccia? Madri che si sentono isolate, allontanate dal proprio ambiente con vissuti di diffidenza e malessere nei confronti della stessa comunità che cerca di accoglierle, mentre i loro mariti, spesso responsabili di comportamenti violenti, hanno la possibilità di muoversi liberamente…

Nel mio intervento ho toccato questioni teoriche importanti: perché la sofferenza del soggetti traumatizzati tende a non essere riconosciuta ed accolta dal contesto sociale e, talvolta, dagli stessi operatori? Cos’è un trigger? Perché la psichiatria ha impiegato tanto tempo per concettualizzare la sindrome post-traumatica da stress? Perché i soggetti traumatizzati sono andati incontro storicamente incontro a risposte di incomprensione e di stigmatizzazione anche da parte della comunità scientifica?

Ma la parte più coinvolgente e forse più utile del mio lavoro è stata quella esperienziale nell’interazione con i partecipanti al seminario. Ho cercato di far sperimentare in prima persona cosa succede in un gruppo di condivisione dove si cerca di contrastare la logica del giudizio. E si prova ad applicare l’intelligenza emotiva. Gli assistenti sociali, superando le difficoltà iniziali hanno potuto aprirsi e parlare delle proprie reazioni soggettive e delle proprie difficoltà nell’ascolto della sofferenza degli utenti.

Cosa è emerso? Il rischio di una perdita della capacità empatica

verso il disagio degli utenti. Il rischio di un distacco crescente dal coinvolgimento emotivo nel lavoro sociale, una volta che l’attività professionale è diventata un abitudine logorante. Il rischio di rivivere traumi personali non elaborati e dunque di un coinvolgimento distorcente nell’attività professionale. Mano a mano che i partecipanti si aprivano ad una comunicazione autentica sulle proprie reazioni emotive al lavoro sociale, la partecipazione è diventata più viva, più lucida e più calda.

Come ha detto Paola Baldari, presidente della Cooperativa Sostegno, il gruppo ha potuto sperimentare il calore che deriva dalla comunicazione autentica, in altri termini “la potenza della condivisione”.

Ed è proprio questa la metodologia che può funzionare con le madri che sono state inserite in un contesto di comunità. L’intelligenza emotiva per aiutarle ad esprimere i propri vissuti e il proprio disagio in un gruppo accogliente e non giudicante. Insegnare loro a gestire, a comunicare le emozioni, legittimando la tristezza e la rabbia, vincendo la chiusura e la diffidenza, imparando a tenere a bada l’impulsività e la depressione.

Claudio Foti

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